
Siamo più social o sociali?
È indubbio che, nella nostra epoca, la tecnologia abbia fatto degli enormi progressi risolvendo pratiche lunghe e faticose spesso con un semplice click comodamente dalla propria poltrona di casa, soprattutto durante la pandemia. I nostri tablet, smartphone e dispositivi portatili ci permettono di rimanere connessi con il mondo circostante senza soluzione di continuità e, da qualunque luogo ci troviamo, siamo in grado di raggiungere tutti, creando conoscenze e connessioni anche fino all’altro capo del mondo.
Ma è davvero così? Siamo così pieni di amici o solo social?
Questa esigenza di sentirsi in contatto con tutti, in modo particolare quando siamo stati inevitabilmente distanti (per esempio durante il covid), ci fa pregustare la sensazione di un potere inebriante, quello di poter lasciare una traccia di noi, seppur virtuale, di poter essere visti e riconosciuti dall’altro e dunque di esistere.
Più social, sicuramente, ma forse meno “sociali” perché, a ben guardare, ci rendiamo conto che le innumerevoli “amicizie” che ci ritroviamo sul nostro profilo non sono vere relazioni ma quelli che, paradossalmente, abbiamo definito contatti dal latino contactus che significa toccare, pur senza averli mai neanche visti!
Ed è proprio questa mancanza di contatto che ha fatto sì che fosse più facile e rassicurante poter esprimere pensieri, opinioni o emozioni protetti da uno schermo e quindi non esposti direttamente a giudizi o a responsabilità, non mettendoci la faccia, ma cercando comunque l’approvazione (oggi la condivisione degli altri). Allo stesso tempo, tutto ciò denuncia una perdita di individualità a favore di un’anonima collettività in cui la propria identità viene confusa con quella degli altri.
Per tale motivo, non ci sorprende che il fenomeno dei social, facebook, twitter, instagram, abbia coinvolto per primi gli adolescenti, la cui fase di ciclo vitale è molto delicata e ricca di contraddizioni. L’adolescente, infatti, da un lato è alla continua ricerca di una propria autonomia e di un’identità stabile nel tempo, e dall’altra del bisogno di dipendenza e appartenenza al sistema familiare da cui in seguito differenziarsi. Da qui, l’importanza del ruolo della famiglia nel favorire lo sviluppo dei compiti evolutivi dell’adolescente, garantendo dei modelli educativi e sistemi di riferimento costanti e adeguati per consentire il passaggio alle successive fasi di sviluppo.
Questi stessi bisogni, quello di appartenenza, di riconoscimento, di senso d’identità, sono alla base della natura di ogni uomo e ci aiutano a comprendere il diffondersi di tali fenomeni social anche tra gli adulti, sempre meno ascoltati e più realmente soli. Ecco perché spesso ansia, attacchi di panico, disturbi depressivi, dipendenze, disturbi alimentari, esprimono la fatica di vivere in un mondo che ci offre modelli, spesso illusori e inarrivabili, e ci costringono ad essere sempre al meglio.
È chiaro che la tecnologia, di per sé, non ha connotazione totalmente positiva o negativa, ma ne assume una a seconda dell’uso, e soprattutto della quantità, che se ne fa a poter fare la differenza tra un passatempo e un modus vivendi radicato e che porta all’isolamento con il rischio di generare un vuoto esistenziale in chi trova già molte difficoltà a trovare una propria collocazione nel mondo.
Autrice: Lorella Cartia