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Phubbing: divisi da uno schermo

Quante volte ci è capitato di sentir parlare del phubbing?
Presumibilmente, non sono in molti a conoscere il significato e le caratteristiche di questo particolare fenomeno per quanto, in realtà, il phubbing sia praticato o subìto dalla maggioranza delle persone.
Il termine è stato coniato attraverso la combinazione tra la parola “phone” (telefono) e “snubbing” (snobbare), ed indica il comportamento di ignorare e trascurare l’interlocutore per rivolgere totale attenzione al proprio cellulare, per quanto tale abitudine ad utilizzare lo smartphone costantemente sia ormai, a tutti gli effetti, normalizzata.
Ma anche se tale condotta è divenuta normativa, è comunque inevitabile constatarne gli effetti dannosi sulla qualità delle relazioni e sulla natura della comunicazione sociale.
Quanto frequentemente ci rendiamo conto della nostra disattenzione verso l’altro, poiché catturati dalla necessità di controllare il telefono?
Da ciò si potrebbe dedurre come sia ormai diventato più importante l’uso dei social media rispetto all’interazione con chi si trova accanto a noi, arrivando ad isolarsi e a squalificare l’importanza della persona realmente, e non virtualmente, presente.
L’esperienza del phubbing, sia per chi la attua che per chi la subisce, determina conseguenze allarmanti per la sua negatività, non solo perché limita lo scambio relazionale, ma anche perché è stato dimostrato da diversi esperimenti sul tema, che abbassa il tono dell’umore, la qualità della relazione, intaccando l’autostima dell’altro e aumentando il vissuto di isolamento, percependosi a tutti gli effetti tagliati fuori dalla comunicazione.
Nel phubbee, ossia colui che è vittima dell’essere ignorato, il non venir considerato né visto, quasi come fosse invisibile, alimenta, inoltre, sentimenti di frustrazione, rabbia e solitudine.
Essere trascurati può, infatti, far maturare la convinzione di non avere valore e, quindi, di non essere meritevoli di rispetto e considerazione.
Le conseguenze del phubbing potrebbero essere ancora più negative e gravi se ad essere coinvolti sono i bambini, ai quali viene, in questo modo, sottratta la possibilità di sperimentare condivisione e considerazione e limitata l’acquisizione di competenze sociali, privandoli di risorse comunicative necessarie per gestire le relazioni interpersonali, sia in ambito familiare che nei contesti esterni ad esso, come a scuola o in ogni altro luogo di incontro con il gruppo dei pari.
In conclusione, il phubbing, abitudine ormai consolidata sia tra gli adulti che tra i giovanissimi, sarebbe responsabile di un significativo peggioramento del vissuto relazionale, poiché minaccerebbe attivamente i fondamentali bisogni umani di inclusione, appartenenza e socialità.
Rivolgersi ad un professionista potrebbe consentire una funzionale riflessione su come modificare la comunicazione in senso efficace, nonché avere l’opportunità di essere sostenuti ed accompagnati nella gestione delle proprie risposte emotive e delle dinamiche relazionali.

Per approfondire:

  • Lavenia G., Internet e le sue dipendenze, Franco Angeli, 2012;
  • Masip M., Disconnessi e felici, Il punto d’incontro, 2019;
  • Tennenini R., Schiavi digitali, Passaggio al bosco, 2019.

Autrice: Ilaria Corona

 

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