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Il sacrificio di uno per tutti: il paziente designato

Di solito ciò che spinge una famiglia ad intraprendere un percorso di terapia sono i sintomi di un componente, generalmente un figlio, colui che prende il nome di paziente designato, indicato spesso dalla famiglia stessa come il detentore “unico” del problema.
Ogni terapeuta sistemico è portato a ritenere che se la famiglia non avesse quel problema forse dovrebbe fare i conti (e ciò non è accettabile!) con uno ritenuto peggiore!
Detto altrimenti, se un comportamento sintomatico di un figlio non costituisse “il problema” che cattura tutte le attenzioni della coppia, i genitori potrebbero trovare il giusto tempo per manifestare presunti conflitti nascosti, non esternati, ma considerati come più pericolosi.
Il figlio che presenta il sintomo è quindi colui che si fa carico da un lato di una sofferenza che, in realtà, appartiene a tutto il sistema familiare, e dall’altro è anche colui che si sacrifica in nome del mantenimento dell’unità familiare.
Ma proviamo a spiegare meglio in che modo un sintomo possa mantenere la coesione tra tutti i membri di un sistema familiare.
Spesso i sintomi rappresentano una soluzione, nel loro essere patologici, per proteggere la famiglia, ma da che cosa?
Innanzitutto è grazie a questi comportamenti disfunzionali di uno che la famiglia approda in terapia, per cui è innegabile quanto dietro tali condotte vi sia una implicita richiesta di aiuto.
Inoltre, è una condizione comune a tutte le famiglie la paura di perdere il legame e di rendere manifesti quei conflitti in cui si cela comunque il rischio di disgregare e distruggere le relazioni.
Per questo la tendenza è di allontanare e seppellire qualunque conflittualità tentando di negare la presenza, anche prepotente a volte, di situazioni di criticità che difficilmente vengono rilette e vissute come opportunità di crescita ed evoluzione, quindi positivamente.
È possibile che il tentativo audace di abbassare e scongiurare le tensioni, presenti magari all’interno della coppia genitoriale, porti a trasferirle sul figlio, immolandolo così al “sacrificio” in nome del mantenimento dell’unità nella coppia stessa, del resto i genitori si troverebbero così coesi più che mai nella reciproca preoccupazione e gestione dei problemi del proprio figlio!
Il paziente designato mediante il suo disagio psicologico, che si può manifestare sotto forma di disturbi alimentari, attacchi di panico o comportamenti devianti, assorbe inconsapevolmente e manifesta le sofferenze relazionali di tutto il gruppo familiare.
È importante sottolineare che il processo di designazione è assolutamente inconsapevole ed involontario e spesso è effettuato verso il membro più fragile della famiglia, colui che occupa la posizione di minor potere nella scena familiare.
Ecco perché è necessario osservare tutta la famiglia in terapia, con le sue dinamiche ed interazioni, per poter comprendere quali schemi relazionali abbiano portato a far si che il sintomo non solo si generasse ma riuscisse anche a mantenersi nel tempo.
Un importante intervento terapeutico potrebbe essere quello di aiutare sia il paziente designato che l’intera famiglia ad attuare una trasformazione interna al sistema per poter uscire dalla condizione di stallo in cui si trova, partendo dalla costruzione di un rapporto solido, di fondamentale fiducia e collaborazione tra famiglia e terapeuta, al fine anche di evitare il rischio di imbattersi in tenaci resistenze, qualora anche solo uno di loro si sentisse colpevolizzato o implicitamente etichettato come causa del problema.
Il rispetto di ciò è alla base di una valida alleanza funzionale ad un processo di collaborazione e co-costruzione.
La psicoterapia familiare si propone, quindi, come importante scopo quello di rinegoziare, recuperare e riattivare le risorse interne alla famiglia e ad ognuno dei suoi membri, cercando di liberare il paziente designato dall’ingombrante peso del sacrificio!

Per approfondire:

  • Bowen M., Dalla famiglia all’individuo, Astrolabio, 1979;
  • Minuchin S., Famiglie e terapia della famiglia, Astrolabio, 1976;
  • Selvini Palazzoli M., Paradosso e controparadosso, Raffaello Cortina, 1975.

Autrice: Ilaria Corona

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