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Sentire di non provare emozioni: il languishing

Nel 2002 lo psicologo e sociologo C. Keyes utilizzò il termine languishing (letteralmente languire) per identificare una condizione, non definibile però come effettiva patologia, caratterizzata da mancanza di benessere e voglia di fare, devitalizzazione e senso di vuoto; un fenomeno che è esponenzialmente cresciuto a seguito del periodo pandemico.
Non si tratta di uno stato di effettiva depressione, piuttosto di un forte stallo emotivo nel quale risulta difficile, se non impossibile, provare una spinta motivazionale e stabilire degli obiettivi, per cui ne conseguono inattività, assenza di progettualità e mancanza di prospettiva; la persona che attraversa questa fase di languishing riferisce comunemente di sentirsi mentalmente affaticata, disattivata e priva di emozioni.
“Languire il malessere” corrisponde, infatti, ad una percezione di non possedere le forze necessarie per svolgere qualunque attività con persistenza dello stato di privazione del benessere, nonostante non si presenti una chiara sintomatologia riconducibile ad una psicopatologia.
In altri termini e come precedentemente accennato, non si tratta di depressione, ma di assenza di stimolazioni emotive positive che provoca inerzia e che ricade sul funzionamento stesso della persona andando ad incidere negativamente sul piano scolastico, lavorativo e sulla socializzazione.
Il languishing potrebbe comunque rappresentare un potenziale rischio per la manifestazione di alcuni disturbi mentali come il disturbo da attacchi di panico, la depressione o il PTSD o disturbo post traumatico da stress.
In altre parole, si colloca in una posizione limbica tra due poli rappresentati dallo stato depressivo e dal suo opposto, definibile come flourishing o prosperare, dove l’attività emozionale è intensa, ci si sente vitali e fioriti nel benessere.
Alcuni tra i segnali del languishing sono rappresentati dal sentirsi demotivati, disinteressati alla pianificazione anche di piccole attività quotidiane, allontanamento dai contesti sociali e dalle relazioni, preferendo il ritiro nella solitudine e mostrando apatia per la maggior parte del tempo.

Come si potrebbe uscire dal languishing e raggiungere il benessere?

Un primo passo potrebbe essere rappresentato dal provare a dare un nome alle sensazioni esperite, identificandole e in questo modo rendendole meno confuse.
Gli studi nel campo della Psicologia Positiva, definiscono il benessere basandosi su alcune aree che dovrebbero essere potenziate, considerazioni queste che possono essere maggiormente utili ed efficaci soprattutto per chi attraversa un periodo prolungato di languishing, tra le quali sono menzionate:

  • La dimensione dell’autonomia personale;
  • La capacità di agire un determinato controllo sull’ambiente e creare così contesti favorevoli;
  • Circondarsi di relazioni positive che forniscano supporto e sostegno attraverso la condivisione e il contatto empatico;
  • Stabilire degli obiettivi iniziando da quelli più piccoli e a breve termine;
  • Saper accettare le diverse caratteristiche e sfumature di sé, in un processo di crescita personale ed integrazione delle parti positive e negative.

L’atteggiamento di predisposizione e disponibilità alla cura di queste aree di funzionamento legate al benessere potrebbero rappresentare le modalità strategiche per contrastare e superare il languishing.
Qualora ci si dovesse rendere conto di non riuscire a fronteggiare, nonostante l’impegno e le strategie messe in atto, un tale periodo accusando il malessere in modo invasivo e prolungato, è importante richiedere l’aiuto di un professionista che possa affiancare la persona e supportarla nel proprio processo di fioritura!

Per approfondire:

  • Carbone F., Crisi tempestose, Sperling & Kupfer, 2023;
  • Keyes C., Languishing, Transworld Publishers Ltd, 2024;
  • Romagnoli G., Restare in piedi tra le onde, Mondadori, 2023.

Autrice: Ilaria Corona

 

 

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