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“Bruciarsi” per il lavoro: il burnout

Cosa succede quando, in maniera apparentemente improvvisa e immotivata, proviamo una perdita d’interesse, apatia, irrequietezza, insofferenza rispetto al nostro ambiente di lavoro, ai superiori o ai colleghi?
Si definisce burnout, dal termine inglese utilizzato dalla psichiatra americana Maslach, letteralmente “bruciato” o esaurito, una sindrome basata su depersonalizzazione e derealizzazione personale, esaurimento emotivo e ridotte capacità personali che può presentarsi in tutte le professioni di aiuto che comportano una elevata implicazione relazionale, come quella dei medici, psicologi, operatori sanitari, insegnanti.
Il burnout non si manifesta mai in modo improvviso, ma è il risultato di un processo graduale che si sviluppa nel tempo.
All’inizio, il lavoratore si trova a sostenere con forte impegno mansioni che gli vengono assegnate, allo scopo di mantenere il proprio rendimento.
Tuttavia, il forte carico di lavoro associato a poche fasi di riposo può tradursi in un vero e proprio esaurimento psicoemotivo.
Nella maggior parte dei casi il burnout si sviluppa in modo subdolo: spesso, chi ne soffre non se ne accorge e considera normali i primi campanelli d’allarme, quali insonnia, cefalea, mal di stomaco, insofferenza per i turni e poca motivazione per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Accanto a queste manifestazioni, nel burnout possiamo assistere a:

  • deterioramento emotivo, caratterizzato da irritabilità, rabbia, aggressività, ansia, depressione, mancanza di energie e conseguente distacco emotivo;
  • notevole riduzione dell’impegno in ambito lavorativo dovuto a forte demotivazione, insoddisfazione;
  • atteggiamento freddo e distaccato nei confronti degli impegni lavorativi, dei colleghi e dell’intero ambiente di lavoro fino ad un forte cinismo che spesso può compromettere l’efficienza e il rendimento.

Ma quali sono le caratteristiche che possono facilitare l’insorgenza di burnout?
Tra le condizioni specifiche più diffuse occorre citare:

  1. fattori individuali e caratteristiche di personalità del lavoratore quali introversione, stile di vita iperattivo, autoritarismo o remissività, abnegazione per il lavoro e tendenza a porsi obiettivi irraggiungibili;
  2. fattori relativi all’organizzazione lavorativa quali un sovraccarico di lavoro, scarse gratificazioni o riconoscimenti, remunerazione inadeguata, discriminazioni o favoreggiamenti, conflitti di ruolo, distribuzione iniqua di compiti e funzioni, turni lavorativi massacranti, attività lavorativa routinaria e monotona.

Da un punto di vista clinico, i sintomi del burnout possono avvicinarsi alla dimensione ansioso-depressivo o stress lavoro-correlato e possono manifestarsi anche con disturbi somatici o disturbi comportamentali (impulsività, irritabilità, assenteismo, abuso di psicofarmaci e di alcool, conflittualità e difficoltà nelle relazioni).
Tra gli altri fattori, si è visto che la sindrome di burnout è più diffusa tra le donne, i lavoratori nei primi anni di lavoro e le persone che non hanno una relazione stabile.
Ma cosa si può fare per contrastare o eliminare il burnout? Quali strategie oggi sono più efficaci?
Sul piano globale, la migliore arma è sicuramente la prevenzione intesa non solo a livello individuale ma anche organizzativo puntando sulla promozione del benessere psicofisico e dell’impegno nell’ambiente lavorativo aumentando il coinvolgimento del lavoratore anche nei processi decisionali e l’efficacia dell’organizzazione stessa in termini di chiarezza di obiettivi, ruoli e funzioni.
Sul piano del singolo lavoratore che si trova a vivere uno stato di malessere generale dettato da tale condizione, l’aiuto più efficace sarebbe quello di affidarsi ad un professionista da cui poter ricercare un sostegno psicologico o intraprendere una psicoterapia per prendere coscienza del problema, acquisire consapevolezza dei propri vissuti e comportamenti ed elaborarli grazie allo sviluppo di risorse personali nuove o già presenti, insieme al rafforzamento delle relazioni positive della singola persona con la rete formale (strutture ed organizzazioni) e informale (parenti, amici).

Per approfondire:

  • Balducci C., Gestire lo stress nelle organizzazioni, Il Mulino, 2015;
  • Bertetti B., Castelli C., Relazioni d’aiuto e resilienza. Strumenti e indicazioni per il benessere degli operatori, Franco Angeli, 2014;
  • Giannetti E., Tesi A., Benessere lavorativo in operatori sociali: le richieste e le risorse lavorative e personali emerse da una indagine esplorativa, in Psicologia della Salute n. 2, 2016.

Autrice: Lorella Cartia

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