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Self-disclosure: l’autorivelazione nella stanza di terapia

La stanza di terapia è un luogo simbolico oltre che fisico, in cui si incontrano due personalità a confronto e da cui si crea un’alleanza terapeutica che, se autentica, favorisce e garantisce l’efficacia del percorso stesso ed il raggiungimento dei risultati attesi.
Uno degli interrogativi più complessi e diffusi tra gli operatori che agiscono nell’ambito delle professioni di aiuto è se sia giusto parlare di se stessi con i propri pazienti e, soprattutto, se questo abbia una qualche utilità ai fini terapeutici.
Con il termine self-disclosure, o autorivelazione, ci si riferisce ad una tecnica, nata tra gli psicoanalisti e poi diffusa anche in altri approcci di cura della persona, attraverso la quale il professionista “rivela” una parte di sé e della propria esperienza personale, in maniera del tutto consapevole ed intenzionale, al paziente.

Affinché tale intervento abbia una sua efficacia, è necessario che si verifichino alcune condizioni:

  • l’esperienza condivisa dallo psicologo o psicoterapeuta dovrebbe contenere degli elementi comuni o simili a quella del paziente creando, in tal modo, una relazione empatica ed autentica;
  • il ricorso all’autorivelazione dovrebbe avvenire in maniera consapevole e guidata, non solo dalla competenza tecnica del professionista, ma anche dalle sue sensazioni e percezioni che lo orientano valutando, in primis, i bisogni di quel paziente;
  • sarebbe importante utilizzare la tecnica della self-disclosure in una precisa fase del percorso terapeutico in cui la relazione terapeutica sia consolidata e abbia raggiunto un’empatia ed un’intensità emotiva elevate.

Occorre fare una distinzione importante tra la self-revelation, ovvero l’inevitabile e non intenzionale disvelamento del terapeuta attraverso i suoi comportamenti, il suo aspetto o le caratteristiche del setting, dalla self-disclosure che rappresenta, invece, una scelta deliberata ed intenzionale di condividere con il paziente l’esperienza interiore del terapeuta facilitando il processo di elaborazione e una maggiore consapevolezza.
All’interno di questo processo di autorivelazione, il terapeuta svolge un ruolo interattivo accompagnando lo sviluppo psichico del paziente e prendendo parte attiva alla co-costruzione del processo terapeutico.
Ma quali possono essere i rischi della self-disclosure nella stanza di terapia?
Da dove nasce questo bisogno di sintonizzazione emotiva con il paziente?
A chi appartiene davvero?

Può succedere che il processo di autorivelazione venga attivato, inconsapevolmente, dal terapeuta e dalla sua necessità di soddisfare il suo personale bisogno di rassicurazione, condivisione o di accesso immediato al mondo interno del paziente.
Spesso, infatti, lo svelare aspetti della propria storia personale predispone l’altro all’apertura e, in maniera speculare, al disvelamento di sé.
In questi casi, risulta utile domandarsi se e quanto quel paziente, già provato dalla propria sofferenza psicologica, sia in grado di tollerare quella derivata dal racconto del professionista e ciò non rappresenti, invece, un ulteriore carico emotivo per lui togliendo, allo stesso tempo, solidità e credibilità al terapeuta percepito come emotivamente vulnerabile.
Nelle altre condizioni, la self-disclosure si dimostra una tecnica capace di rafforzare l’alleanza terapeutica aggirando le eventuali resistenze del paziente dovute alla fatica di lasciarsi andare o alla paura del cambiamento e abbattendo le difese che si costruisce nell’illusione di potersi proteggere e nella convinzione di non essere davvero compreso dagli altri.
A differenza di quanto si possa immaginare, quanto più il terapeuta si rende disponibile a condividere la propria esperienza personale mostrando il proprio lato “umano”, più lascerà spazio al paziente rimandandogli la sua centralità nella relazione terapeutica e riducendo la distanza emotiva.
Infine, l’autorivelazione favorisce il processo di metacognizione e rafforza il rispecchiamento proprio perché sentire il racconto di qualcuno ci consente di riflettere e risignificare la nostra storia e il nostro modo di agire ed interagire con gli altri scoprendo modalità relazionali più funzionali e “normalizzando” certi vissuti e comportamenti personali.

Per approfondire:

  • Levenson E., Aspects of self-revelation and self-disclosure. Contemporary Psychoanal., vol. 32, n. 2, 1996;
  • Ponsi M., Interaction and transference. International Journal of Psycho-Analysis, 78, 1997;
  • Tricoli M.L., Dal controtransfert alla self-disclosure: la scoperta della soggettività dell’analista. Ricerca Psicoanalitica, Anno XII, n. 3, 2001.

Autrice: Lorella Cartia

 

 

 

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