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L’altruismo: tra empatia e bisogno di approvazione

Se io potrò impedire ad un cuore di spezzarsi non avrò vissuto invano.
Se allevierò il dolore di una vita o guarirò una pena o aiuterò un pettirosso caduto a rientrare nel nido non avrò vissuto invano.” (E. Dickinson)

Uno dei principi etici su cui si fondano le relazioni, strettamente collegato al senso di solidarietà e alla tendenza ad aiutare gli altri, è l’altruismo.
Se pensiamo che, sin dalla nascita, la sopravvivenza del neonato è dipendente dall’altruismo e dalla disponibilità emotiva del genitore o di altre figure significative, ci rendiamo conto di quanto questa predisposizione abbia origini antiche e profonde e poggi su motivazioni complesse.
Ma cosa si intende per “altruismo” in ottica psicologica?
Con tale termine, coniato da Comte, fondatore del positivismo, ci si riferisce alla volontà, desiderio, tendenza a preservare, a beneficio della collettività, l’interesse degli altri anteponendolo ai propri.
Gli psicologi sociali definiscono l’altruismo un comportamento prosociale, ma non tutti i comportamenti prosociali sono completamente altruistici: si può aiutare qualcuno, ad esempio, per senso del dovere, per obblighi morali, per imposizioni delle norme sociali, per evitare una punizione o ricevere un premio, o ancora, per senso di colpa.
Da un punto di vista neurobiologico, le ricerche hanno evidenziato un coinvolgimento dei centri del piacere del cervello quando si è impegnati in un atto altruistico.

E dal punto di vista psicologico? Quali sono le ragioni profonde che spingono verso l’altruismo?
Sicuramente, strettamente connessa all’altruismo è l’empatia, ovvero la capacità di entrare in contatto con le emozioni e la sofferenza dell’altro: ecco che aiutare gli altri ha un effetto benefico per se stessi e allevia l’angoscia e i sentimenti negativi suscitati dall’osservare che qualcun altro si trovi in difficoltà.
Per tale ragione, alla base di molti gesti altruistici, si celerebbe un beneficio secondario che può esprimersi attraverso il riconoscimento e la gratificazione di bisogni personali quali l’autostima, il senso di autorealizzazione, l’approvazione sociale.
La scelta dell’altruista diventa, quindi, un processo complesso che implica l’interazione tra principi morali, valori culturali, la percezione di sé e delle proprie motivazioni, le caratteristiche personali e situazionali con cui ci si confronta non senza costi in termini di stress, di energie mentali e fisiche.
D’altra parte, l’essere altruisti, generosi e disponibili non sempre corrisponde ad una forma di puro altruismo ma può diventare un modo per attirare l’altro, trasformandosi in una forma di manipolazione.

E allora, quando questo modo di entrare in relazione è realmente autentico?
Per capirlo, è necessario distinguere quello che si osserva come comportamento altruistico da ciò che lo muove internamente.
Le due facce, dell’altruismo e dell’egoismo, si possono integrare quando si riescano a stabilire i confini tra sé e l’altro: riconoscersi nella propria individualità, con le proprie emozioni e i propri bisogni e, allo stesso modo, riconoscere l’altro nella sua esistenza, emozioni e bisogni specifici.
A volte, si vuole apparire agli occhi esterni buoni a tutti i costi per assicurarsi la vicinanza emotiva dell’altro e soddisfare un antico bisogno di essere amati, apprezzati, riconosciuti.
In questo caso, l’altruismo non è più finalizzato all’altro e a valorizzarne i reali bisogni, ma finisce con la sua svalutazione e con l’offrire qualcosa di cui l’altro non ha veramente bisogno e che quindi si rivela non in linea con le sue autentiche richieste.
In altri casi, la forte predisposizione ad aiutare l’altro potrebbe portare a sacrificare i propri bisogni creando un profondo stato di sofferenza fino ad arrivare a soffocare intere parti di sé oppure, può rappresentare un modo per fuggire da qualche responsabilità, ad esempio rispetto all’incapacità di dire “no”, come si verifica nelle persone che hanno la tendenza a compiacere per sentirsi approvati.
Per limitare questa tendenza eccessivamente altruistica, potrebbe essere utile:

  • valutare meglio le richieste di aiuto riuscendo a distinguere le situazioni di reale necessità da quelle in cui ci si aspetta un intervento in proprio soccorso per abitudine;
  • cogliere e sentire la reale disponibilità emotiva ad aiutare l’altro senza che ciò implichi un sacrificio a scapito del proprio benessere;
  • imparare a ricevere dall’altro, accettando la possibilità di un aiuto nel momento in cui si ha bisogno senza sentire l’obbligo di ricambiare o il senso di colpa se non ci si riesce ma sostituendolo, gradualmente, dal piacere di ricevere.

Per approfondire:

  • Donise A., Critica della ragione empatica. Fenomenologia dell’altruismo e della crudeltà, Ed. Il Mulino, 2020;
  • Muriana E., Verbitz T., Le relazioni dipendenti. Quando l’altruismo diventa patologico, Ed. Alpes, 2021;
  • Tomasello M., Altruisti nati. Perché cooperiamo fin da piccoli, Ed. Bollati Boringhieri, 2010.

Autrice: Lorella Cartia

 

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