Perché é così difficile chiedere aiuto?
Tutti quanti attraversiamo momenti difficili in cui la vita ci mette a dura prova e abbiamo bisogno della vicinanza degli altri o di un sostegno psicologico ma non sempre e non tutti riescono ad esplicitare tale esigenza.
Questa difficoltà ci porta spesso a procrastinare o a scegliere di rimanere in una condizione di sofferenza con il duplice risultato, da un lato, di non concederci di sperimentare la disponibilità emotiva dell’altro non fidandoci delle sue capacità e caratteristiche personali, e dall’altro, di esporci ad un progressivo aggravamento col rischio di stare peggio.
Ma perché è così difficile chiedere aiuto? Da dove viene questa fatica o paura di farci aiutare?
Spesso, le persone che trovano maggiori difficoltà ad affidarsi agli altri hanno scarsa autostima, possiedono l’errata convinzione su di sé di essere poco importanti, di non avere valore e dunque di non meritare il tempo e le energie degli altri con la conseguenza di dover compensare tale mancanza con l’esigere troppo e solo da se stesse per poi autoconfermarsi di essere inferiori o deboli.
Sicuramente, la nostra società ha contribuito nell’instaurarsi di tale predisposizione insegnando che solo mostrandoci in grado di gestire in maniera indipendente i nostri successi o fallimenti possiamo avere valore, essere percepiti dagli altri forti, autonomi e competenti.
In quest’ottica fortemente individualistica, chiedere aiuto (che sia ad un amico o ad un professionista) diventa, all’opposto, sinonimo di immaturità, dipendenza, debolezza.
Sono molteplici i fattori che contribuiscono a mantenere questo copione:
- educazione in famiglia: quando un sistema famigliare ci insegna che chiedere aiuto è sinonimo di debolezza o incapacità, può contribuire a trasmettere un senso di inadeguatezza legato alla necessità di farsi aiutare e, di conseguenza, perpetuando la tendenza a cavarsela da soli sempre, anche a costo di sottacere un bisogno profondo urgente e sacrificare se stessi;
- deresponsabilizzazione, ovvero la convinzione che debbano essere gli altri a offrire il loro aiuto spontaneamente, attribuendo loro la responsabilità e la colpa di non averci aiutati. Questo aspetto è legato alla falsa idea che abbiamo il diritto di ricevere il soddisfacimento di un bisogno senza neanche esplicitarlo e se ciò non succede è evidentemente attribuibile ad una mancanza proveniente dall’esterno;
- precedenti esperienze negative, in cui si è chiesto aiuto senza ottenerlo, che porta a generalizzare l’esperienza personale sfavorevole, e consolidare i vissuti di sfiducia nei confronti dell’altro e di inutilità della richiesta d’aiuto;
- la paura del rifiuto o il timore di scontrarsi con un’infinità di “porte chiuse” rafforza la l’errata convinzione di scarso valore dei propri bisogni e vissuti personali, non sufficientemente meritevoli di ricevere aiuto, e la conseguente fatica nell’esprimerli;
- la vergogna di sperimentare la sofferenza, quasi come fosse una nostra colpa il sentire dolore, con la falsa credenza che, tenendo nascosto tale disagio, possiamo prevenire la fuga o il giudizio dell’altro, ritenuto incapace di confrontarsi con la nostra sofferenza;
- l’orgoglio e la difficoltà ad ammettere di avere un problema, perché riconoscerlo genererebbe un senso di inadeguatezza, incapacità o fallimento, tutte sensazioni estremamente faticose da accettare, mostrare ed elaborare.
Ma cosa può aiutarci a superare la difficoltà di chiedere aiuto?
Un passo importante comincia dall’imparare a manifestare i propri bisogni in maniera chiara ed esplicita senza pensare che gli altri debbano “intuire” la nostra necessità ma legittimando il nostro diritto di chiedere aiuto, e confidando nella capacità altrui di rispondere in maniera adeguata.
Potrebbe essere utile partire a piccoli passi, per esempio da piccole richieste, più semplici, e osservare come gli altri rispondono in modo da costruire e consolidare un nuovo schema mentale e di comportamento basato proprio sul valore del chiedere aiuto.
Per fare ciò è importante dedicarsi all’ascolto del nostro mondo interno e di quelle parti più vulnerabili o “spaventanti” che ci rendono più difficile rivolgerci a qualcuno.
Chiedere aiuto non è mai una scelta semplice perché implica il riconoscimento di una difficoltà, il mettersi a nudo e liberarsi di tutte quelle difese che, un tempo, hanno protetto e rimandato agli altri un’immagine di noi più forte, socialmente accettabile.
Per questo, solo modificando le nostre premesse interne possiamo ribaltare la prospettiva sulla richiesta di aiuto: da segno di debolezza ad atto di coraggio che conduce al cambiamento con la possibilità di accrescere le nostre risorse e riscoprire una resilienza che non sapevamo di avere.
Per approfondire:
- Elkaim M., Se mi ami, non amarmi, Ed. Bollati Boringhieri, 1992;
- S, Speranza e timore in Psicoanalisi, Ed. Bollati Boringhieri, 1993;
- Watzlawick P., Il linguaggio del cambiamento, Ed. Feltrinelli, 2013.
Autrice: Lorella Cartia