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Tra la psicoterapia e la bacchetta magica

Espressione, a volte, di una decisione non troppo ragionata che potrebbe altrimenti impedire di proseguire nell’intento, più spesso frutto di un lungo travaglio interiore alla ricerca del “momento giusto”, la scelta di chiedere un supporto psicologico o di intraprendere un percorso di psicoterapia per molti avviene quando la sofferenza personale è arrivata ad una soglia limite di sopportazione in cui percepiscono di non avere più una via di uscita.
E così quel nome, chiuso dentro un cassetto, si trasforma in una chiamata e in primo contatto con la richiesta esplicita di cambiare lo stato delle cose causa di un disagio divenuto ormai destabilizzante.
Ed ecco che, davanti ad un’insofferenza mai conosciuta prima, la porta della stanza di terapia molte volte sembra vestirsi di aspettative irrazionali, perfino magiche, che il paziente proietta sul terapeuta, che inconsciamente vorrebbe vedere un po’ genitore buono ed accogliente, un po’ stregone con poteri “speciali” e con una bacchetta magica in grado di risolvere il problema portato dal paziente, possibilmente in tempi brevi.
È convinzione ormai fortemente radicata che lo psicoterapeuta e chi, come lui, si occupi di professioni d’aiuto, abbia la soluzione Prêt-à-Porter per ciascun problema presentato, una sorta di vademecum da consultare in ogni circostanza e soprattutto da donare in maniera assolutamente impersonale e passiva al paziente di turno che si sia affidato a lui.
Ma cosa c’è nella terra di mezzo tra la psicoterapia e la bacchetta magica?
Davvero c’è un investimento mentale ed emotivo sin dall’inizio di un percorso terapeutico?
È importante partire dalle aspettative del paziente e dalla reale motivazione celata dietro ad una richiesta di aiuto perché permette di accoglierne l’urgenza e di costruire un contratto terapeutico con obiettivi precisi che tengano conto anche di questi aspetti primari.
La richiesta implicita che il paziente porta al professionista è spesso proprio quella di cancellare, con una bacchetta magica, tutta la sofferenza e il disagio provati e che gli impediscono di condurre una vita “normale”, magari come nel passato.
Questa delega totale ad occuparsi del proprio benessere psicofisico senza troppi coinvolgimenti o eccessiva fatica, accompagnate dall’aspettativa di una completa risoluzione, non può che dare spazio ad una delusione ed una conseguente frustrazione sia nei confronti del percorso di psicoterapia che del terapeuta stesso, confermando lo scetticismo che a volte guida tale richiesta.
Aldilà del nostro naturale desiderio di risolvere ciò che ci affligge nel minor tempo possibile, come possiamo evitare il rischio che il circolo dell’illusione-delusione ci porti ad abbandonare il percorso di terapia con conseguenti cognizioni negative anche su noi stessi?
Un presupposto importante su cui lavorare è quello di considerare e percepire il lavoro terapeutico come una co-costruzione cui contribuiscono sia il terapeuta con le sue competenze, strumenti e caratteristiche personali, sia il paziente con le sue risorse, consapevolezza e motivazione al cambiamento, e la loro alleanza terapeutica.
In questo processo così articolato e complesso, il paziente è un soggetto attivo a tutti gli effetti e in ogni fase:

  1. definendo insieme al terapeuta gli obiettivi da raggiungere;
  2. instaurando una relazione terapeutica autentica, indispensabile per l’esito del trattamento;
  3. guidando il terapeuta nei meandri più reconditi e angoscianti del proprio mondo interno;
  4. mettendosi in gioco, raccontandosi ed affrontando i temi più spinosi e le emozioni più intense e spaventanti con fatica e coraggio.

Compito del terapeuta è accompagnare il paziente nel percorso di conoscenza attiva di se stesso, offrendo nuove prospettive da cui analizzare il problema e nuove strategie per elaborarlo che, insieme alle sue caratteristiche di personalità e le risorse che già possiede, contribuiranno a riempire la sua nuova cassetta degli attrezzi.
E allora tutto quello che serve non è una bacchetta magica che, certo, a volte ci farebbe comodo, soprattutto quando siamo particolarmente stanchi, sofferenti o oppressi ma che, alla lunga, ci toglierebbe l’occasione di considerarci i primi responsabili del nostro benessere e del nostro cambiamento.
Quello che ci serve, tra la psicoterapia e la bacchetta magica, superando nell’immediato ogni iniziale frustrazione di ricorrere alla soluzione magica e impersonale, è la possibilità di regalarci un tempo, il tempo necessario.

Per approfondire:

  • Erickson Milton H., Rosen S., La mia voce ti accompagnerà, Ed. Astrolabio, 1983;
  • Fisch R., Weakland John H., Segal L., Change: le tattiche del cambiamento. La psicoterapia in tempi brevi, Ed. Astrolabio, 1983;
  • Haley J., Terapie non comuni, Ed. Astrolabio, 1976.

Autrice: Lorella Cartia

 

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