Il dolore del terapeuta: il valore aggiunto di un guaritore ferito
“Solo il guaritore che è stato ferito può davvero curare.” (Irvin D. Yalom)
Tutti quanti attraversiamo fasi di vita in cui il dolore e la sofferenza ci mettono a dura prova spesso facendoci dubitare anche delle nostre possibilità di superarle e di venirne, addirittura, arricchiti.
Il dolore, una malattia, una perdita sono eventi che accomunano tutte le persone, dal ricco al povero, dal più illustre luminare al più umile degli uomini, da quello che si sente invincibile a quello che non ha mai creduto in se stesso. Eventi che ci rendono umani, vulnerabili, simili nella diversità.
Ma cosa succede quando l’esperienza del dolore viene sperimentata da una persona che svolge una professione di aiuto, come lo psicoterapeuta che, per definizione, dovrebbe accompagnare l’altro a toccare nel profondo la propria sofferenza per poi risalire?
La ferita del terapeuta può essere un ostacolo nella relazione terapeutica e nel processo di “guarigione” del paziente?
In realtà, le esperienze personali più penose e il dolore che il terapeuta sperimenta rappresentano un valore aggiunto per il lavoro di terapia perché è proprio questa ferita che consente al terapeuta di sintonizzarsi emotivamente e in maniera ancora più autentica con la sofferenza del paziente senza venirne sopraffatto ma, al contrario, riconoscendo dentro di sé tutti quegli aspetti di cui il paziente diventa portatore e agendo come uno specchio per lui.
Lo psicoanalista Jung ha introdotto l’archetipo del “guaritore ferito” partendo dalla constatazione che la vulnerabilità sia una condizione che caratterizza la natura umana proprio per sottolineare come attraverso la sua personale ferita il terapeuta possa entrare davvero in contatto con la sofferenza del paziente: la ferita del guaritore costituisce la via d’accesso al suo potere terapeutico.
É ciò che succede, nella mitologia greca, al centauro Chirone che, attaccato aspramente durante uno scontro, subisce una ferita che, nonostante le conoscenze acquisite nel campo della medicina, non è in grado di curare: un guaritore che non riesce a guarire se stesso!
A causa della sua immortalità, Chirone sarebbe destinato ad un’esistenza colma di sofferenze da cui non è immune fino a quando, per sua compassione, Zeus gli viene in soccorso permettendogli di donare la propria immortalità a Prometeo.
Solo il contatto profondo con la propria sofferenza e la trasformazione interna da segno di fragilità a simbolo di forza possono permettere al terapeuta, come Chirone, di comprendere ed accogliere la sofferenza dell’altro stabilendo un’alleanza terapeutica basata sull’accettazione, sul perdono e, infine, sul cambiamento.
Un buon terapeuta, di fatto, è il guaritore ferito che è entrato in contatto con la propria sofferenza, l’ha affrontata, sviscerata, elaborata, integrata concedendosi solo alla fine di accedere delicatamente a quella dell’altro.
Ciò che importa per il paziente, aldilà di quanti e quali sofferenze siano custodite dal suo terapeuta, è riuscire a percepirlo come una guida emotivamente vicina, che sappia accogliere con empatia le parti più oscure della sua anima e della sua storia e non ne abbia paura accompagnandolo nel faticoso viaggio dentro di sé e verso la risalita.
Se è vero, infatti, che il terapeuta cura se stesso attraverso i suoi pazienti, allo stesso modo egli cura i pazienti attraverso se stesso.
C’è una tecnica giapponese di restauro nota come kintsugi, letteralmente “riparare con l’oro”, ideata per riparare tazze in ceramica per la cerimonia del tè le cui linee di rottura non solo vengono lasciate visibili, ma sono evidenziate con polvere d’oro che ne accentua la pregevolezza rendendo la fragilità un punto di forza e di perfezione.
Se si è fatta esperienza del dolore e lo si è attraversato, la ferita e la cicatrice che rimangono diventano la spinta necessaria attraverso cui, all’interno del potere curativo della relazione, guaritore e ferito esistono contemporaneamente come diade e come unità, un intreccio unico ed irrepetibile per via della diversità di esperienze casualmente incontratesi e mescolate.
Proprio come ci insegna il kintsugi, da una lacerazione e da una ferita può nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore!
Per approfondire:
- Carotenuto A., Discorso sulla metapsicologia, Ed. Bollati Boringhieri, 1982;
- Carotenuto A., Lettera aperta ad un apprendista stregone, Ed. Bompiani, 1998;
- White M., La terapia come narrazione. Proposte cliniche, Roma, Astrolabio, 1992;
- Yalom I., Il dono della terapia, Edizioni Beat, 2016.
Autrice: Lorella Cartia