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A volte sarebbe meglio evitare?!

Con evitamento in ambito psicologico ci si riferisce ad una particolare strategia difensiva che spesso viene messa in atto inconsapevolmente per allontanare l’ansia causata da alcune situazioni percepite come stressanti e quindi motivo di timore.
Da questo punto di vista, può definirsi come modalità funzionale laddove sussista un reale pericolo o minaccia per cui diviene adattivo e utile prendere le distanze, riducendo di conseguenza anche il disagio esperito.
Non solo diviene possibile evitare situazioni esterne e ambientali ritenute potenzialmente minacciose, ma anche interne, come pensieri ed emozioni a connotazione negativa, ignorando sentimenti di dolore, con l’obiettivo di poterlo così gestire o ancora allontanandosi dai contesti sociali che si possono temere, oppure rimandando ad un tempo indefinito anche decisioni che potrebbero avere una rilevante importanza nel momento presente.

Per quanto nell’immediatezza la strategia difensiva dell’evitamento possa restituire un certo senso di sollievo, a lungo termine potrebbe costituire un limite ed un’ulteriore difficoltà in termini di opportunità di adattamento agli eventi soprattutto quando si presentano come difficili e complessi, rinforzando vissuti di paura ed ansia.
In tal senso, una condotta evitante che persiste fino a divenire cronica perde inevitabilmente la sua funzione protettiva e adattiva per trasformarsi in rigida difesa, un vero e proprio ostacolo per l’individuo oltre ad agire un rinforzo negativo circa la percezione di essere inadeguati e non all’altezza di situazioni che di fatto non si riescono ad affrontare, finendo così per intaccare il personale senso di autoefficacia nonché l’autostima.

Ne consegue che se il tentativo che si cerca di perseguire con l’evitamento è quello di tenersi lontani da situazioni scomode, soprattutto se considerate motivo di ansia e di vergogna, ciò che in realtà si potrebbe arrivare ad ottenere è la cronicizzazione di uno stato di perenne disagio, insoddisfazione, di allerta e timore, abbassando la qualità della vita e compromettendo la socialità e lo svolgimento di importanti attività quotidiane.

Per sintetizzare, è possibile affermare che una forma eccessivamente rigida e coercitiva di evitamento può agire negativamente portando a:

  • Abbassamento dell’autostima e della fiducia in se stessi e nelle proprie capacità;
  • Allontanamento dalla vita sociale fino all’isolamento;
  • Aumento dell’ansia e della paura che si estendono a molteplici situazioni etichettate come temute e di fronte alle quali, paradossalmente, l’evitamento verrebbe proprio utilizzato con lo scopo di ridurre tali risposte emotive!

Saper imparare a riconoscere quando l’evitamento diviene un ostacolo è fondamentale per migliorare il benessere personale. A tal proposito potrebbe essere utile:

  • Rinforzare le personali risorse e capacità nell’affrontare anche le sfide considerate più difficili;
  • Identificare i possibili esiti negativi della condotta evitante;
  • Approcciarsi alle sfide e ai compiti in modo graduale, un passo alla volta;
  • Sintonizzarsi con le emozioni provate per acquisire successivamente la capacità di regolarle e gestirle, piuttosto che allontanarle ed evitarle.

Un supporto professionale specifico potrebbe rivelarsi utile al fine di eliminare il comportamento evitante, riacquisire fiducia in se stessi e promuovere nuove e più funzionali modalità per migliorare la qualità della propria vita.

Per approfondire:

  • Ferro A., Evitare le emozioni, vivere le emozioni, Raffaello Cortina, 2007;
  • Muller R.T., Il trauma e il cliente evitante, Giovanni Fioriti Editore, 2014;
  • Sassaroli S., Psicoterapia cognitiva dell’ansia, Raffaello Cortina, 2006.

Autrice: Ilaria Corona

 

 

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