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Senza di te: il vissuto dell’abbandono emotivo

Quando si parla di abbandono si fa spesso riferimento alla sua forma più estrema, quella fisica, quella della totale assenza dell’altro, con tutte le conseguenze traumatiche che una simile esperienza comporta, specie se avviene in infanzia da parte delle figure genitoriali, danneggiando profondamente lo sviluppo psico-fisico del bambino.
Ma si può parlare di abbandono anche quando il genitore, pur essendoci, non è comunque presente nella cura, nell’accudimento, nella disponibilità emotiva e nella capacità di rispondere adeguatamente ai bisogni relazionali del figlio. In questi casi ci si trova di fronte ad una forma di abbandono definito emotivo, tipico di contesti familiari di deprivazione affettiva, spesso causata da molteplici fattori.
Genitori che non dedicano tempo sufficiente, anche su un piano qualitativo, ai propri figli o che, a loro volta, sono incatenati in fasi del ciclo vitale particolarmente critiche, connotate da sofferenza, come accade quando si vive un lutto o durante la separazione coniugale. Situazioni queste che minacciano la stabilità e l’equilibrio interno dell’adulto, al punto da compromettere la sua funzione riflessiva, le sue competenze genitoriali, destabilizzandolo e rendendolo cieco, trascurante e incapace di assolvere le funzioni di figura di riferimento attenta e di base sicura.
È innegabile quanto il bambino possa soffrire tale assenza e lontananza emotiva, tanto da poter essere definita come esperienza traumatica che può scavare nel profondo fino a cronicizzarsi.
L’abbandono emotivo può anche manifestarsi dietro altre sembianze, quelle dell’atteggiamento svalutante, umiliante e denigratorio da parte del genitore.
È così che potrebbe iniziare ad annidarsi nel bambino, e nell’adulto che diverrà, lo schema mentale maladattivo dell’instabilità e dell’autosvalutazione.
Tali credenze su di sé potrebbero generare la convinzione di non essere meritevole di cure, accudimento ed attenzione, di non essere amabile e desiderabile, di non essere “visto” dagli abitanti di quel mondo esterno a sé divenuto sinonimo di minaccia e pericolo.
Il rapporto con l’altro è vissuto come predisposto all’interruzione e alla perdita, dal momento che questo è ciò che si è acquisito attraverso la relazione disfunzionale con il caregiver primario.
È inoltre probabile che, a causa della distorsione della realtà relazionale e affettiva, la persona potrà provare profondi sentimenti di disperazione ed impotenza quando rivivrà esperienze che richiamano l’abbandono subìto in infanzia, rischiando di rinunciare alla vita relazionale, isolandosi nella propria angoscia o, al contrario, instaurando pericolose relazioni di dipendenza.
Riuscire ad affrontare e superare il trauma dell’abbandono è possibile, partendo dalla consapevolezza di dover apprendere, come primo importante passaggio, il valore prioritario del prendersi cura di sé, della necessità di prestare attenzione a quegli echi interni rimasti troppo a lungo inascoltati ed inespressi, provando ad elaborare così rabbia e tristezza connesse al vissuto passato e ad affrontare e superare il  risentimento verso chi ci ha reso, seppur inconsapevolmente, tanto vulnerabili… anche concedendosi l’opportunità di chiedere sostegno in questa complessa e delicata scoperta di nuove risorse e di un nuovo Sé.

Per approfondire:

  • Allan N., La regolazione degli affetti e la riparazione del Sé, Astrolabio, 2008;
  • Bonadies M., Il trauma dell’abbandono, Bonfirraro, 2018;
  • Verardo A. R., Lauretti G., Riparare il trauma infantile, Giovanni Fioriti, 2020.

Autrice: Ilaria Corona

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