
Tra desiderio di normalità e paura del contagio
Durante il lockdown che ci ha costretti a casa modificando ritmi e routine, riorganizzando spazi comuni ed individuali, molte persone hanno preso il periodo di isolamento sociale come una pausa durante la quale riscoprire nuove risorse o rispolverare vecchie passioni insieme al piacere di viversi la casa come luogo sicuro e la famiglia come riferimento stabile.
Insieme a queste persone, c’era anche chi mostrava insofferenza percependo la quarantena come una privazione di libertà che ha molto limitato lo svolgimento delle consuete attività, comprese quelle ludico-ricreative, culturali e sociali.
In entrambi i casi si trattava di persone che, dopo il lockdown, hanno ripreso con maggior entusiasmo ed energia la vita da dove l’avevano lasciata, ripristinando una anelata “normalità” di cui sono tornati a diventare padroni.
Ma accanto a queste persone, un’ampia parte tra quelle che mostravano già delle specifiche vulnerabilità, trova nella famosa “fase 2” difficoltà ad immaginare un rientro in società e si domanda, non senza preoccupazione, se riusciremo a modificare i nostri stili di comportamento quando la pandemia sarà finita o se saremo finalmente liberi dal fantasma del contagio.
Succede, infatti, che la paura del contagio conseguente al ritorno ad un contatto fisico con l’altro sia così radicata nella mente (e potrebbe permanerci ancora per un po’) da determinare conseguenze emotive e comportamentali specifiche, con un incremento di psicopatologie già presenti o nuove, frutto di un malessere che si propaga in maniera pervasiva.
Accanto ad un numero sempre maggiore di casi di disturbo post-traumatico da stress, ecco che si fa strada, anche in chi non direttamente coinvolto in situazioni stressanti o intollerabili, una comune paura del contagio che, a sua volta, genera ansia e stress in un circolo vizioso.
Ma da dove viene questa paura e come possiamo evitare che si impossessi di noi bloccandoci?
Quando ci sono eventi imprevedibili e di portata eccezionale avere paura risulta la reazione emotiva più frequente e normale.
Pensare al momento che si sta vivendo e immaginare un futuro oltre le quattro mura domestiche possono essere esperienze destabilizzanti ed essere vissute come qualcosa di spaventoso.
All’interno di una pandemia, come quella attuale, il virus scatena spesso una paura incontrollabile proprio perché percepito come invisibile, sconosciuto, che limita la libertà individuale mettendo in discussione la relazione degli uomini tra di loro e con l’ambiente, e dalla forte carica persecutoria: non si può controllare qualcosa che non si può vedere!
Essendo un’emozione primaria, la paura è fondamentale perché ci aiuta a difenderci dai pericoli esterni mantenendo uno stato di allerta e di attivazione funzionale alla nostra sopravvivenza.
Non è infrequente che la paura si trasformi in panico o ansia generalizzata, quando quest’ultima non è limitata ad un momento isolato ma viene estesa ad uno stato costante di preoccupazione che ci fa percepire ogni situazione come pericolosa ed allarmante, o in ipocondria.
Se è vero che sentire una condizione di tristezza di base è sano, anche la rabbia e la paura possono essere dei sentimenti autoconservativi, a differenza del panico che ci impedisce di difenderci.
Altre reazioni emotive e comportamentali che possono risolversi in poche settimane sono:
- l’evitamento, ovvero il tentativo di evitare pensieri intrusivi e negativi, che non permette di prendere coscienza dell’evento traumatico e delle azioni funzionali al suo superamento;
- l’intrusività, ovvero flashback, immagini ricorrenti ed invalidanti;
- l’iperarousal, ovvero un aumento dell’attivazione psicologica agli stimoli con conseguenti reazioni psicofisiche quali tachicardia, costante allerta, affanno, difficoltà di addormentamento o disturbi dell’alimentazione;
- umore depresso, correlato ad immagini negative di sé o dell’ambiente esterno percepito come pericoloso, e ad un senso di solitudine.
Come detto, se limitate nel tempo, sono reazioni normali, funzionali, da comprendere ed accogliere magari all’interno di uno spazio di condivisione e di ascolto con le persone vicine o, nei casi di maggior gravità e pervasività, con l’aiuto di un professionista.
Per approfondire:
- Giordano P., Nel contagio, Giulio Einaudi Ed., 2020;
- Legrenzi P., Paura, panico, contagio. Vademecum per affrontare i pericoli, Giunti, 2020;
- Rachman, S., Fear of contamination. Behaviour Research and Therapy, Issue 11, 2004.
Autrice: Lorella Cartia