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Childfree: la libertà di vivere una scelta

Il compito principale nella vita di un uomo è di dare alla luce se stesso trasformandosi in tutto ciò che è in grado di essere. Il risultato di tali sforzi sarà la sua personalità.” (E. Fromm)

L’esperienza della gravidanza e della maternità rappresentano delle fasi di vita che vengono vissute in maniera del tutto personale.
Ciò ci permette di annoverare, all’interno di tali esperienze, persone che le ricerchino, le vivano e le accolgano in maniera totalizzante e appagante e altre, all’opposto, che sperimentino una sensazione di disagio al pensiero di avere un figlio; alcune che continuino, attraverso lunghi e faticosi percorsi di fecondazione assistita, a coltivare l’idea di diventare genitori e altre ancora costrette a prendere la soffertissima o confortante decisione di interrompere una gravidanza.
Costituiscono queste tutte esperienze talmente personali, uniche e differenti da mantenere come unica caratteristica comune proprio l’estrema soggettività che non consente di tracciare una chiara direzione rispetto alle motivazioni sottese alla dimensione reale o immaginata della maternità.
Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, da decenni ha cominciato a diffondersi un fenomeno noto come movimento delle donne e delle coppie childfree, che decidono consapevolmente di non avere figli, cercando di abbattere lo stereotipo secondo cui una donna senza figli venga considerata “incompleta” e che riconduce il valore di una donna alla sola esperienza della maternità.
Ma quali sono le ragioni profonde nascoste dietro alla decisione consapevole di non volere figli?
Naturalmente, come la scelta di volere un figlio, anche la volontà di non averne comprende motivazioni e dinamiche psicologiche le più disparate, accanto a quelle oggettive di natura socio-economica, come difficoltà lavorative o la mancanza di supporto da parte della rete formale (servizi, società) e informale (famiglia, amici, vicini di casa).
Vediamone alcune:

  1. la sensazione di non essersi mai sentite pronte a dedicarsi, per un lungo periodo, ad un altro essere umano rinunciando al proprio tempo, al lavoro, ai propri interessi, alla propria vita non contemplandolo nel proprio personale progetto di vita ma difendendo, altresì, la propria indipendenza ed autodeterminazione;
  2. l’idea di non avere quel famoso “istinto materno di cui tutti parlano e che si dovrebbe provare in maniera naturale e spontanea verso quel qualcuno che non contempli solo un cucciolo di animale o una piantina;
  3. la convinzione di fare una scelta altruistica nel non voler mettere al mondo una creatura indifesa e consegnarla ad un ambiente percepito come ostile, minaccioso, frutto di esperienze negative e fortemente condizionanti;
  4. il sentimento di inadeguatezza, spesso legato ad un mancato accudimento materno o ad un’esperienza di cure poco soddisfacenti sperimentata nella propria famiglia di origine che ci ha fatto sentire figli poco valorizzati e ancora estremamente bisognosi di cure per sé al punto da non credere di poterne offrire ad un terzo;
  5. la paura del legame, spesso presente in persone che hanno sperimentato una sensazione di abbandono fisico e/o psicologico, ovvero il terrore di rivivere e riattualizzare quei vissuti di solitudine, tristezza, inadeguatezza e frustrazione che un nuovo legame riporterebbe alla luce in maniere irruenta e prepotente trattandosi di un legame biologico così forte;
  6. all’opposto, l’instabilità e la precarietà del legame di coppia che non consente di realizzare e concretizzare un progetto di concepimento condiviso.

Qualsiasi sia la motivazione alla base, la scelta di non avere figli va rispettata così come dovrebbe essere difesa la libertà di scelta, in un verso o nell’altro, a prescindere da quanto sia realmente libera questa scelta o quanto invece l’intera società non influenzi con il peso delle sue aspettative tale decisione.
Una cosa è certa: non è necessario essere madri per essere materne e capaci di prendersi cura di qualcuno che si ama, che sia un partner, un amico, un cane o un cactus.
E non occorre procreare per essere generative.
Anche nel curare o riparare un legame o coltivare una relazione c’è un atto creativo e generativo.
Ecco perché il valore di una donna non consiste nel dare alla luce un figlio ma nel “dare alla luce se stesso trasformandosi in tutto ciò che è in grado di essere”.

Per approfondire:

  • Bastianoni P. e Taurino A., Famiglie e genitorialità oggi. Nuovi significati e prospettive, Unicopli, 2007;
  • Bauman Z., Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Laterza Editori, 2006;
  • Zanatta A.L., Le nuove famiglie. Felicità e rischi delle nuove scelte di vita, Il Mulino, 2003.

Autrice: Lorella Cartia

 

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