La prosopagnosia: circondati da volti senza nome
Quella di riconoscere i volti è una capacità innata, universale, che si completa intorno ai primi due anni di vita ed è fondamentale per l’uomo da un punto di vista relazionale, emotivo e sociale.
La gran parte degli individui è in grado di identificare e distinguere chiaramente migliaia di visi diversi, cui associa poi un nome e un’identità personale.
Ciò è dovuto al fatto che i volti, in quanto stimoli visivi complessi, apportano una grande quantità di informazioni per l’interazione: esprimono le emozioni e le motivazioni, riflettono l’identità, identificano il sesso, l’età o l’etnia di una persona.
Proprio perché capaci di elaborare tutte le singole informazioni, siamo in grado di integrarle per creare un modello facciale generalizzato che permetta, in tal modo, l’identificazione.
Ma cosa succede quando questa capacità di riconoscere i volti viene meno o non è presente?
Con il termine di prosopagnosia, prosopon (volto) e agnosia (non conoscenza), si intende un disturbo descritto per la prima volta dal neurologo tedesco Bodamer nel 1947, noto anche come agnosia facciale o cecità facciale.
La prosopagnosia è un deficit cognitivo-percettivo che non permette il riconoscimento del volto di persone conosciute, un familiare o una persona con cui si interagisce nella quotidianità (come un collega o un amico) e, nei casi più gravi, anche la propria immagine riflessa allo specchio o in foto.
Esistono due tipi di prosopagnosia: la prosopagnosia acquisita e la prosopagnosia congenita.
La prima forma è una condizione che si verifica, in genere, a seguito di una lesione cerebrale, ictus, trauma cranico o, meno frequentemente, ematomi, demenza o tumori cerebrali.
La seconda forma, invece, può essere presente fin dalla nascita per cause non note.
L’aver perso questa capacità, precedentemente acquisita, a seguito di un evento critico, vuol dire anche una diversa gestione delle emozioni scatenate da tale perdita che può essere graduale o improvvisa.
Chi soffre di prosopagnosia utilizza piccole strategie compensatorie per ovviare a questo deficit, in genere, legate al ricordo di alcuni dettagli come un naso particolarmente pronunciato, occhiali, barba folta, un certo tipo di abbigliamento o di acconciatura, una postura riconoscibile.
Questo tipo di riconoscimento avviene, spesso, in maniera inconscia tanto che la persona che ne è affetta può non sapere di avere un deficit cognitivo, perché non sempre diagnosticato.
Quali conseguenze comporta la prosopagnosia?
L’incapacità di riconoscimento dei volti può avere varie conseguenze sotto diversi punti di vista:
- sociale, (difficoltà nel mantenere relazioni interpersonali solide o instaurarne altre nuove);
- relazionale, in molteplici contesti (scolastico, lavorativo, ricreativo);
- psicosomatico, (fobia sociale o disturbo d’ansia sociale, sintomi depressivi);
- emotivo (solitudine, senso di colpa, isolamento).
Ma perché avviene tutto questo?
La persona affetta da prosopagnosia non è in grado di convertire gli stimoli sensoriali del volto in un unico modello facciale e ciò non le consente di associare la fisionomia del volto con l’identità della persona.
Questo succede perché il riconoscimento dei volti viene processato in maniera “olistica”, ovvero l’elaborazione viene portata a compimento tenendo conto non dei dettagli (occhi, naso, bocca) ma nella loro complessità.
Ci sono dei margini di recupero da tale deficit?
Nonostante la precocità con cui si sviluppa sistema percettivo di base per l’elaborazione dei volti, esso è molto flessibile e matura completamente solo nel periodo dell’adolescenza.
Questo dato suggerisce che il sistema di elaborazione dei volti possieda una certa plasticità e che, quindi, almeno in specifiche circostanze, esista la possibilità di implementare tale abilità di riconoscimento dei volti in persone con questo tipo di difficoltà attraverso l’utilizzo di protocolli mirati di riabilitazione.
Un altro obiettivo importante mira ad un approfondimento del fenomeno, una maggior conoscenza della prosopagnosia in modo da poter ottenere una ampia sensibilizzazione e combattere lo stigma sociale spesso associato ad alcuni deficit.
Per approfondire:
- Rivolta D., Prosopagnosia. Un mondo di facce uguali, Ed. Ferrari Sinibaldi, 2012;
- Rubens A., Benson, D., Associative visual agnosia. Archives of Neurology, 24, 1971;
- Vallar G., Papagno C., Manuale di Neuropsicologia, Ed. Il Mulino. 2011.
Autrice: Lorella Cartia