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Appartenere ad un gruppo o fare branco?

Far parte di un gruppo rappresenta una condizione necessaria per ogni individuo e una tappa cruciale, di vera e propria transizione, se parliamo di adolescenti che nell’identità del gruppo ricercano la propria, distanziandosi dalle figure genitoriali ed individuandosi.
Rispetto ai tumultuosi cambiamenti fisici, emotivi e psicologici che in adolescenza si riscontrano, far parte del gruppo dei pari costituisce un passaggio indispensabile che assolve diverse funzioni come quella di favorire il processo di separazione/individuazione, di trovare il proprio posto nelle relazioni sociali, di ascoltare e poter condividere con i coetanei problematiche comuni che permettono di non sentirsi solo o non capito e di rinforzare così la sicurezza e l’autostima.
Allontanarsi dalle figure genitoriali, iniziare a mettere in atto dei tentativi di svincolo sono tappe necessarie affinché si possa trovare la personale identità e cominciare a muovere autonomamente i primi passi nel mondo fuori dalla realtà familiare, ma dall’altra parte l’adolescente è ancora fragile per poter compiere da solo questo passaggio.
Ecco perché il gruppo diviene tanto importante e centrale: in esso si può trovare una certa stabilità, un punto di riferimento affettivo che risponde ad aspettative e bisogni personali, come quelli di ricevere affettività, supporto e riconoscimento, di essere considerati ed inclusi.
Nonostante gli aspetti positivi che derivano dal vivere e appartenere ad un gruppo, a volte si corre il rischio di entrare in contesti di vera e propria devianza, estremamente pericolosi e fonte di grande malessere.
È il caso in cui si parla di branco nel quale l’individualità e le esigenze di ogni singolo componete non trovano spazio di ascolto né di riconoscimento e supporto, ma a prevalere sono la fusione e l’omologazione tra i suoi membri per i quali l’unico obiettivo è l’interesse del branco e non del singolo.
In altre parole, il branco si fonda su presupposti come fedeltà e dipendenza, rappresenta gli aspetti più pulsionali ed esasperati dell’adolescenza e per questo pericolosi, se non adeguatamente contenuti.
È luogo di ritrovo di personalità fragili e vulnerabili che, in assenza di sani valori condivisi e spinti dai desideri di identificazione, accettazione ed appartenenza, possono sfociare in agiti violenti mascherati anche dietro alla deresponsabilizzazione che lo stare in branco determina: non sono io ad essere aggressivo, ma il gruppo!
Sperimentare forti emozioni e trovarsi ad affrontare pericoli e grandi rischi rappresenterebbe il tentativo disfunzionale di cercare una propria identità, spinti presumibilmente da situazioni di provenienza familiare caratterizzati da profonde difficoltà e disagi che potrebbero costituire quella base di carenza di valori, di disfunzionalità educativa o di mancanze affettive e di sostegno emotivo per cui confondersi tra il branco sembrerebbe l’unico modo per trovare il proprio posto.
I fattori di rischio che potrebbero predisporre alla violenza e alla formazione del branco sono:

  • Provenire da sistemi familiari caratterizzati da violenza e traumi;
  • Storie di abbandoni precoci, lutti o vissuti di separazione non adeguatamente elaborati;
  • Aver subito maltrattamenti, abusi o emarginazione.

Spetta soprattutto ai genitori e alle figure adulte di riferimento nella vita dell’adolescente, anche attraverso il supporto di professionisti, sostenere ed aiutare i ragazzi a misurarsi, regolarsi e confrontarsi per poi prepararsi a prendere le giuste distanze da quella che resta la base sicura della famiglia ed iniziare il cammino di conoscenza e scoperta di sé, anche attraverso la scelta del gruppo di pari a cui sentire di poter appartenere.

Per approfondire:

  • Bertani B., Psicologia dei gruppi, Franco Angeli, 2007;
  • Biondo D., Gruppo evolutivo e branco, Franco Angeli, 2020;
  • Giordano C., Il modello recluso: dal branco al gruppo, Sensibili alle foglie, 2019.

Autrice: Ilaria Corona

 

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