Giù la maschera: tra desiderabilità e falso sé
“Una maschera ci dice più di un volto.” (Oscar Wilde)
A quanti di noi è capitato di indossare almeno una volta, temporaneamente o permanentemente, una maschera davanti agli altri per rispondere a delle aspettative o per la sensazione di sentirsi inadeguati al contesto o alle relazioni?
Ci poniamo, cioè, in quella che pensiamo sia la maniera più “accettabile” per poter ricevere dagli altri l’amore di cui abbiamo bisogno, preservando, in tal modo, le nostre parti più segrete per non lasciarle nude, allo scoperto.
Indossare una maschera diventa, quindi, il nostro modo personale di presentarci agli altri, uno scudo protettivo che ci consente di diventare “desiderabili” agli occhi degli altri, rendendoci meno vulnerabili e più sicuri.
E questa maschera può aiutarci sin dall’infanzia, quando sperimentiamo che, per essere accettati dagli altri, dobbiamo comportarci ed essere come il contesto e le circostanze ci suggeriscono, tracciando i limiti delle relazioni, dei ruoli e delle funzioni che dovremo assumere nella vita.
Tuttavia questo accade a patto di mantenere la consapevolezza di star indossando una maschera.
È quando questa consapevolezza viene a mancare che si sperimenta il disagio di non poter scegliere la propria maschera ma di essere costretti a indossarla!
Tra le più comuni maschere che portiamo o che riconosciamo negli altri, includiamo:
- la maschera del duro, colui che, agli occhi degli altri, si mostra emotivamente distante, persino aggressivo, per paura di essere ferito o mostrarsi vulnerabile ma che, di fatto, cela una maggiore sensibilità;
- la maschera del bravo bambino, che ha imparato a comportarsi in maniera esemplare per non perdere l’approvazione e l’affetto delle figure di riferimento;
- la ben nota maschera del salvatore, colui che è stato investito dalla ben alta ed ammirabile missione di salvare tutti anche rinunciando alla propria individualità ed esistenza;
- la maschera del pagliaccio, colui che, apparentemente, affronta tutte le avversità con l’umorismo e con un sorriso perennemente stampato sul viso ma che, in realtà, nasconde la paura di non essere accettato o di essere allontanato se mostrasse i suoi veri sentimenti.
Tutte queste maschere hanno in comune il proteggere il nostro vero Io da potenziali minacce.
Il rischio, tuttavia, di indossare una maschera, aldilà della funzione adattiva, è che questa diventi una seconda pelle in cui ci si può sentire incastrati fino alla costruzione di un falso sé.
Le maschere che una volta ci hanno protetto possono diventare, allora, un mezzo per disconnetterci dalle nostre emozioni, allontanandoci dai nostri veri desideri e ideali.
Il rischio implicito è quello di perdere la propria autenticità.
Winnicott, psicoanalista e pediatra, parla di Falso Sé per indicare quella parte più superficiale della struttura della personalità che svolge due funzioni: da una parte, consentire una buona integrazione all’ambiente e, dall’altra, difendere il Vero Sé, che comprende il nucleo più intimo caratterizzato da desideri, bisogni ma anche vulnerabilità e paure personali.
La maschera che indossiamo può diventare rigida nel momento in cui entriamo in contatto con la nostra ferita interiore derivata, per esempio, dalle nostre esperienze passate, dal tipo di legame con le figure di attaccamento, da traumi pregressi.
Il dolore causato dal contatto con queste esperienze sfavorevoli può, poi, assumere manifestazioni diverse quali sintomi psicosomatici, ansia, attacchi di panico, depressione, insonnia.
Diventa allora fondamentale prenderci cura di noi stessi in maniera profonda ed autentica, riconoscere la nostra sofferenza attribuendo ad essa un significato nuovo ed attuale.
Solo dopo aver tolto le varie maschere possiamo entrare in contatto profondo con il nostro Io più autentico, accettare ed accogliere non solo le zone di luce ma anche e soprattutto le zone d’ombra senza paura di mostrarle, prima a noi stessi e, solo dopo, agli altri.
Per approfondire:
- Pirandello L., Uno, nessuno e centomila, 1926;
- Sassatelli, R., Attraverso la maschera. Rappresentazione e riconoscimento. In Sulla Maschera, Il Mulino, 2008;
- Winnicott D. W., Sviluppo affettivo e ambiente, 1965.
Autrice: Lorella Cartia