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Vivere la realtà della disoccupazione: aspetti psicologici e sociali

La tendenza degli ultimi anni, a seguito della crisi economica e delle conseguenze della pandemia, è stata quella di un incremento del numero delle persone in condizione di disoccupazione con il grave impatto negativo che tocca il livello emotivo, relazionale, familiare e sociale di chi la subisce.
Come qualunque evento di perdita, anche quello del lavoro è definibile come una condizione di lutto ad alto impatto stressante che minaccia autostima, motivazione personale, consapevolezza del proprio valore e delle proprie capacità, un vero attacco all’identità personale; situazioni che possono compromettere la salute psicologica al punto da ostacolare anche la possibilità di essere in futuro reinseriti nel mercato del lavoro.
Un vero e proprio trauma, soprattutto se sopraggiunge in modo improvviso, coinvolgendo varie sfere della vita dell’individuo, poiché non implica esclusivamente il non avere più un reddito, ma anche dover fare i conti con la perdita del ruolo di lavoratore, spesso parte integrante dell’identità e motivo di riconoscimento sociale, oltre che di integrazione nel contesto di appartenenza.
Tra le emozioni più comunemente riportate da chi attraversa l’esperienza della disoccupazione si ritrovano il senso di fallimento e di vuoto, il sentirsi inutili, invisibili, frustrazione e percezione di inadeguatezza. Emozioni che intaccano la costruzione della fiducia in se stessi e nelle prospettive future, oltre ad aumentare la distanza nelle relazioni interpersonali, a causa sia del possibile stigma sociale, spesso attribuito a chi perde il lavoro, che da vergogna e timore del giudizio, determinando un aumento del rischio di isolamento ed autoesclusione.
Essendo, quindi, la perdita del lavoro un evento molto traumatico, i cui livelli di intensità variano in base anche alla durata della disoccupazione, alcune ricerche hanno suddiviso in diverse fasi l’elaborazione di questa condizione:

  • La prima fase, quella che segue direttamente il licenziamento, è caratterizzata dalla sensazione di sopraffazione, incredulità e immediata negazione di quanto sta accadendo, con emozioni di paura, sconvolgimento e senso di impotenza;
  • Nella seconda fase, la persona, dopo l’iniziale confusione e disorientamento, recupera l’ottimismo, soprattutto se la perdita del lavoro è ritenuta una condizione temporanea;
  • Se la situazione non si risolve come sperato ma si protrae nel tempo, si potrebbe aprire un altro scenario. Non riuscire a trovare un nuovo lavoro e il perpetuarsi dello stato di disoccupato, determina vissuti depressivi e pessimismo. In questa terza fase possono presentarsi ansia, malinconia, abbassamento dell’autostima, rassegnazione e disturbi psico-fisiologici;
  • Nella quarta fase, detta del fatalismo o dell’apatia, la persona si adatta alla condizione ritenuta ormai cronica e immodificabile, rischiando così di divenire inattiva e completamente passiva.

Queste fasi non si manifestano in modo rigido e uguale per tutti, ogni persona infatti affronta una condizione analoga con un investimento di risorse ed energie diverso, reagendo soggettivamente a contrastare l’impatto, comunque violento, di questo evento.
È quindi necessario e doveroso, da parte delle istituzioni e degli operatori del benessere, prestare attenzione specifica ad un fenomeno così ampio, complesso e purtroppo in crescita che minaccia l’individuo sia sul piano socio-economico che su quello del benessere emotivo e relazionale, destrutturando l’identità personale e ostacolando la possibilità di autorealizzazione e definizione di Sé.

Per approfondire:

  • Cirri M., Il tempo senza lavoro, Feltrinelli, 2013;
  • Roggerone F., Il lavoro che non c’è, Castelvecchi, 2014;
  • Sarchielli G., Depolo M., Psicologia della disoccupazione, Il Mulino, 1987.

Autrice: Ilaria Corona

 

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