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L’angoscia dell’estraneo: Io, Noi, l’Altro

Sin dalla nascita, il legame che si stabilisce tra la madre e il bambino è talmente forte da essere definito simbiotico: la percezione del bambino con la madre non è quella di due entità distinte ma di un unicum indifferenziato in cui l’esistenza dell’uno non può essere separata da quella dell’altro.
Strettamente correlata a questa fase di indifferenziazione è la cosiddetta “angoscia dell’estraneo” che permette al bambino di percepirsi gradualmente come separato da quella stessa mamma da cui prima non riusciva a distinguersi ed individuarsi.
Manifestata con pianti inconsolabili, improvvisi e apparentemente immotivati, l’angoscia dell’estraneo, per il valore simbolico che rappresenta nella mente del bambino, si configura come un passaggio fondamentale per la sua crescita emotiva e psicologica.
Ma che cos’è l’angoscia dell’estraneo? Perché si struttura e quali meccanismi la sostengono?
Si tratta di una vera e propria angoscia che si manifesta nei bambini intorno agli otto mesi di età alla presenza di una persona non familiare, di un estraneo e che esprime spesso il timore che la mamma possa andare via e non tornare più, anche in casi in cui l’allontanamento sia temporaneo.
Questa paura verso una persona estranea è legata a quella che viene definita “ansia da separazione”, ovvero la paura di essere diviso dalle figure genitoriali o di accudimento.
Momenti critici significativi possono essere l’inserimento al nido, un trasferimento, la separazione dei genitori, una malattia, la morte improvvisa di un familiare, ma anche la nascita di un fratellino.
Intorno alla prima metà del Novecento, lo psicoanalista René Spitz ha evidenziato come la psiche del bambino nei primi due anni passi da uno stato di disorganizzazione, dovuto al rapporto simbiotico con la madre, ad uno stato di maggiore individuazione, attraverso la comparsa di tre comportamenti osservabili, da lui definiti come organizzatori psichici:

  • il primo, intorno ai 2-3 mesi, è caratterizzato dalla comparsa del sorriso di fronte al volto umano che testimonia una maggiore differenziazione del proprio Sé rispetto alla madre;
  • il secondo organizzatore, intorno agli otto mesi, è caratterizzato proprio dalla comparsa dell’angoscia di fronte ad un estraneo che testimonia l’integrazione progressiva dell’Io del bambino, capace di distinguere tra un Io e un non Io, tra madre e non madre: il bambino riconosce la madre e la differenzia da tutte le altre persone, fino al punto di essere angosciato in presenza di una persona non familiare;
  • il terzo organizzatore, intorno ai 15 mesi, è caratterizzato dalla comparsa del “no che permette al bambino di giungere ad una completa differenziazione ed individuazione tra sé e la madre e di entrare nel campo delle relazioni sociali e del mondo simbolico.

L’angoscia dell’estraneo è quindi una reazione sana ed evolutiva, la cui intensità e durata variano da bambino a bambino a seconda della personalità ma anche del tipo di legame di attaccamento.
A partire dai 3 anni, poi, la maggior parte dei bambini avrà una rappresentazione costante di sé e della madre, in modo da riuscire a distaccarsene senza sentire l’angoscia di questa separazione.
Il continuo movimento di separazioni e ricongiungimenti permette al bambino di costruire un’aspettativa sul ritorno della mamma e, pertanto, di poterla tenere dentro alla sua mente.
Capita spesso che il pianto disperato di un bambino diventi angosciante anche per l’adulto che non riesce a contenere e regolare neanche le proprie emozioni e frustrazioni.
Come si può aiutare il bambino a gestire la paura dell’estraneo?
Prima di tutto è importante che l’adulto di riferimento sappia dare l’esempio mostrando al bambino che l’altro o il mondo esterno non è pericoloso proprio perché egli interpreta la realtà e la connota emotivamente attraverso gli occhi dell’adulto.
Occorre rispettare i tempi del bambino non costringendolo ad un contatto immediato con l’estraneo ma comprendendo i suoi timori, contenendolo e rassicurandolo sulla presenza o sul sicuro ritorno della figura di riferimento.
Al momento della separazione, per esempio, può essere utile predisporre un vero e proprio rituale con il bambino, strutturando il saluto e non nascondendosi ai suoi occhi fiduciosi, ma spiegando con tono rassicurante e sguardo tenero in linea con il suo, quello che succederà.
Proprio perché il modo in cui il bambino impara a relazionarsi con l’estraneo ha a che fare con il tipo di attaccamento creato con le figure di riferimento, se i genitori gli avranno fornito una “base sicura”, il bambino sarà più capace di approcciare in maniera serena agli sconosciuti, senza sentire l’angoscia o il timore di perdere i riferimenti di accudimento.
Fondamentale, infine, soprattutto dopo il compimento del primo anno, è il ruolo del padre che, proponendosi come presenza altra dalla madre, consente al bambino, non solo di differenziare la figura materna da quella paterna, ma di crescere in modo emotivamente equilibrato.

Per approfondire:

  • Ainsworth M.S., Blehar M.C., Waters et al., Patterns of Attachment: A Psychological Study of the Strange Situation, Lawrence Erlbaum, Hillsdale, 1978;
  • Bowlby J., “Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento”, Raffaello Cortina Editore, 1996;
  • René A. Spitz, Il primo anno di vita del bambino Genesi delle prime relazioni oggettuali, Giunti Editore, 1973.

Autrice: Lorella Cartia

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