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Spiegare l’inspiegabile: si può parlare di guerra ad un bambino?

Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola
a mezzogiorno.

Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
e orecchie per non sentire.

Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte,
né per mare né per terra
per esempio, la guerra.
(Gianni Rodari)

“Mamma cosa sta succedendo? Perché quei bimbi stanno piangendo? Che cos’è la guerra?”
È quasi impossibile preservare i bambini dalle immagini, dalle informazioni e dal clima emotivo che una guerra o un evento traumatico come la malattia di un caro o la morte porta con sé.
Ma è giusto parlare di guerra ad un bambino? E quali parole possono essere utili per spiegare un simile evento?
Spesso, la convinzione del genitore di tenere fuori il proprio figlio, soprattutto se piccolo, da brutte notizie che sconvolgono noi adulti per primi, si rivela non efficace o, addirittura, controproducente.
La mancanza di strumenti cognitivi maturi e la mancata consapevolezza di ciò che accade nel mondo circostante rischia, nei bambini, di dare spazio ad un’immaginazione più fervida che li porta, spesso, a creare una realtà ancora più terrificante e spaventosa di quanto non sia davvero, nel tentativo di colmare un vuoto narrativo lasciato dagli adulti e con l’effetto di vedere crescere l’ansia e la paura per ciò che potrà succedere di peggiore.
Diventa, quindi, fondamentale poter parlare con i bambini spiegando quello che succede intorno a loro delimitando e proteggendo la loro capacità di immaginare scenari più pericolosi dettati da una percezione già strutturata in loro di cosa stia avvenendo e da un clima emotivo che anche i più piccoli riescono a captare attraverso non detti, silenzi carichi di preoccupazione, comportamenti non usuali da parte dei loro caregiver.
Partendo da questa consapevolezza e restituendo ai bambini la competenza di poter comprendere e il diritto di sapere sulla base dell’età e degli strumenti a loro disposizione, compito dei genitori e delle figure di attaccamento è quello di mostrarsi disponibili ad accogliere tutte le domande che i bambini vorranno porre loro in maniera autentica, semplice e il più possibile adeguata al loro sviluppo evolutivo.
Nell’accompagnarli nella conoscenza della guerra o di ciò che di più angosciante, ineluttabile ed imprevedibile (una malattia, una perdita, una pandemia) stia accadendo, può essere utile usare un racconto su tematiche simili o libri illustrati che, al tempo stesso, promuovano sentimenti positivi.
È importante rimandare l’idea che la guerra è un fatto molto brutto che non dovrebbe mai verificarsi ma che purtroppo accade perché non sempre i grandi riescono a fare le cose nel modo più giusto e migliore per tutti, così com’è altrettanto importante sottolineare al bambino che, allo stesso tempo, ci sono molte persone, compresa la sua famiglia, che sono pronte ad aiutare chi soffre e a risolvere per il meglio ciò che succede restituendo, in tal modo, a ciascuno il potere di un contributo attivo e non la sensazione di impotenza nella risoluzione delle situazioni difficili.
Si può parlare di guerra ai bambini?
Sì, e anche degli aspetti più brutti, come il dolore e la morte ma soprattutto si può spiegare ai loro occhi innocenti che, a volte, anche gli adulti hanno paura.
Questo richiede per l’adulto, in primis, il faticoso e complesso lavoro di contenere le proprie angosce ed emozioni più dirompenti non accantonandole ma elaborandole nella loro intensità, in modo da non travolgere i bambini investendoli di qualcosa che appartiene al loro vissuto.
Ciò vuol dire, inoltre, consentire alle emozioni, come la paura, di avere il giusto spazio fornendo una strategia di gestione di quelle più forti che i bambini possono imparare a conoscere e governare proprio attraverso l’esempio e la condivisione con l’adulto.
Solo dopo aver ascoltato il proprio mondo interno l’adulto può davvero mettersi in una dimensione di ascolto nei confronti di tutta la gamma di emozioni che il bambino a volte gli fa intravedere, altre volte gli butta addosso in maniera più irruente, risignificando e valorizzandole una ad una.
Per quanto possano spaventare i genitori, le reazioni emotive dei bambini come la paura, il pianto, la rabbia possono essere lette come la manifestazione di un senso di empatia e della capacità di capire il dolore dell’altro.
Per questo è importante legittimare queste emozioni sperimentate dai bambini e condivise dall’adulto ed accogliere il dolore e la sofferenza psicologica trasformandoli in empatia, compassione e senso di solidarietà.
Il messaggio che troverà spazio nella mente e nel cuore dei bambini fino a diventare punto fermo è che, davanti ad eventi così brutti come una guerra, la paura, l’angoscia e l’insicurezza lasceranno il posto alla consapevolezza che l’adulto li saprà proteggere e alla certezza di luoghi sicuri in cui stare, come la propria casa.

Per approfondire:

  • Cancrini L., La cura delle infanzie infelici, Ed. Cortina Raffaello, 2013;
  • Fochesato W., Raccontare la guerra. Libri per bambini e ragazzi, Interlinea, 2011;
  • Masal Pas Bagdadi, Mi hanno ucciso le fiabe, Ed. Franco Angeli, 2004;
  • Mona Macksoud, I bambini e lo stress della guerra, Ed. Magi, 1999.

Autrice: Lorella Cartia

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