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La cura del ricordo: come parlare di morte ai bambini

Non vi sarà addio fino a quando saranno presenti i ricordi.” (Isabel Allende)

I bambini, nella ricerca del significato delle cose e nella conoscenza del mondo, si pongono mille domande, quesiti cui l’adulto tenta di rispondere anche con un po’ di creatività: dov’ero prima di essere nella pancia di mamma? Perché non posso tornare lì? Come sono nato?

Ma ci sono domande che mettono in seria difficoltà gli adulti e cui ci sembra di non essere mai pronti e preparati: la morte è una di queste.

L’evento morte, seppur naturale evoluzione della vita, ci pone davanti ad una sofferenza spesso angosciante e difficile da gestire per cui si cerca di proteggere i bambini da questo dolore preferendo non affrontare con loro, erroneamente, il tema della perdita di una persona cara.
In realtà, i bambini sanno già comprendere il significato della morte anche da piccoli se viene loro data la possibilità di parlarne e, purtroppo, spesso ne vengono presto a contatto dovendo affrontare situazioni di lutto come quella di un animale domestico cui erano molto affezionati o la perdita di un nonno o ancora la morte di una persona cara ai genitori.
In questo contesto, i bambini, grandi osservatori, si accorgono di tutto ciò che è intorno a loro, notano i cambiamenti, spesso sconvolgenti, della routine quotidiana, le parole sussurrate a bassa voce per non farsi sentire, assorbono il clima emotivo famigliare di sconforto o tristezza.
Davanti a questi eventi, spesso imprevedibili, i bambini hanno bisogno di capire, chiedere, dare senso a ciò che succede e condividere il proprio dolore e spetta all’adulto di riferimento concedere la possibilità di parlare della morte per aiutarli a convertire il dolore in parole, emozioni, lacrime.
Ciò che i bambini sono in grado di capire dell’esperienza del lutto e il modo di elaborarla dipendono dal loro sviluppo cognitivo, dalle caratteristiche di personalità, dall’età e dal legame affettivo che avevano con la persona che viene a mancare.

La comprensione della morte è un processo che passa attraverso diverse fasi evolutive: quella prescolare, in cui la morte viene concepita come reversibile e impersonale pur vivendo il bambino uno stato di agitazione dettato dai sentimenti negativi che sente intorno a lui; la fase compresa tra i 5 e i 9 anni, in cui matura via via l’idea che la morte sia definitiva, sperimenta dolore per la perdita e comincia a formulare domande in merito; la fase dai 9 anni all’adolescenza in cui la morte viene considerata un evento irreversibile anche se all’inizio di quest’ultima fase il bambino non sa ancora riconoscere in maniera chiara le emozioni che prova e può manifestare comportamenti oppositivi, rabbia, tristezza o comportamenti regressivi non direttamente indirizzati all’oggetto della sua sofferenza, ma nel prosieguo, l’elaborazione del lutto diviene più matura e consapevole, seppur ancora con difficoltà legate alla gestione delle emozioni.

Ma come parlare ai bambini di morte?

Ogni famiglia troverà il modo unico ed esclusivo per condividere, rinarrare ed affrontare gli eventi critici, compreso quello della morte, tuttavia, è molto importante:

  • creare uno spazio di condivisione, ascolto e scambio emotivo, in cui il bambino possa sentire di poter avere risposte alle sue domande, esprimere le proprie emozioni sentendosi legittimato dagli adulti che fungono da specchio permettendogli di validare e dare senso alle sue emozioni, anche quelle più forti ed angoscianti. Se l’adulto, per primo, si concede la possibilità di piangere o essere triste, anche il bambino si sentirà autorizzato e percepirà queste emozioni come naturali e tollerabili;
  • comprendere, risignificare ed accogliere le sue reazioni senza colpevolizzarlo, in quanto non possiede ancora gli strumenti dell’adulto, come la verbalizzazione, ed esprimerà i suoi sentimenti in modi disparati, a volte esplosivi o con difficoltà di sonno, alimentari, sintomi somatici, aggressività, “capricci”. Non è infrequente che possa sentirsi in colpa arrivando a pensare che la perdita della persona amata sia legata ad un suo comportamento sbagliato;
  • comunicare con lui in maniera chiara, comprensibile, sincera, adatta al suo sviluppo cognitivo evitando l’uso di metafore o bugie che abbiano effetto confusivo. Ad esempio, l’espressione “è andato via o è partito per un lungo viaggio” può creare l’aspettativa irrealistica che la persona torni o ansia da separazione ad ogni allontanamento o ancora frasi come “Riposa o si è addormentato” può rendere il momento del sonno ansiogeno;
  • consolidare la rappresentazione mentale che ha del legame con la persona perduta attraverso la “cura del ricordo” ovvero favorendo la rievocazione dei momenti trascorsi insieme, per esempio sfogliando l’album di famiglia o raccontando aneddoti in modo che possa introiettare l’eredità affettiva lasciata da quella persona. Possiamo rassicurarlo che quella persona sarà sempre presente seppur in maniera diversa anche cercando insieme nuove modalità per sentirla vicina come un disegno, una poesia, una storia inventata che aiuti, pian piano, a trasformare il dramma in un racconto famigliare.

Per approfondire:

  • Fitzgerald H., Mi manchi tanto! Come aiutare i bambini ad affrontare il lutto, Edizioni La Meridiana, 2002;
  • Pellai A., Tamborini B., Perché non ci sei più, Ed. Centro Studi Erickson, 2011;
  • Verardo A.R., Russo R., “Tu non ci sei più e io mi sento giù”, Ass. EMDR Italia, 2006.

Autrice: Lorella Cartia

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